mercoledì 29 agosto 2012
il mio sito internet
E con questo vi saluto.
giovedì 14 gennaio 2010
Le calze supersoniche
Carmen Samari è volata via il 2 gennaio 2010 all'età di 87 anni e le poche righe che seguono sono state lette durante la cerimonia di sepoltura:
Fino all’ultimo momento Nonna Carmen ha tenuto dentro la sua sofferenza, ha fatto di tutto per essere lasciata in pace e per lasciare il resto del mondo in pace. In questo la sua vita è stata coerente fino agli ultimi giorni: una vita di sacrifici e di prove alle quali tutte le persone comuni sono sottoposte e che lei ha dunque vissuto di conseguenza, carica di una rassegnazione dolce, con il sorriso sulle labbra. Si è occupata dei figli, di nonno Mario, della casa, dei parenti, delle poche ma intense amicizie che ha avuto, senza serie velleità di alcun tipo, senza desiderare la luna o sbandierare al prossimo le sue intime gioie e i suoi altrettanto intimi dolori.
È vero “la libertà è partecipazione”, lo ha detto Gaber e in altri termini lo dicono anche i vangeli, ma credo che né l’uno né gli altri, si riferissero con, “partecipazione”, a quell’intruglio incessante fatto di talk show in cui vince chi parla di più e più forte degli altri, alla musica sparata a tutto volume, o a quella spinta incessante a mostrarsi agli altri nei modi e nelle forme più plateali e scandalizzanti della quale siamo tutti testimoni.
Il corpo di nonna Carmen, al contrario, si era fatto negli ultimi tempi sempre più piccolo e leggero. Eppure, evidentemente, ancora non abbastanza per riuscire a volarsene in cielo silenziosa come una piuma. Ma è capitato, l’altra mattina, poche ore dopo il suo ultimo saluto, che avesse bisogno di un paio di calze, per essere decorosamente vestita per l’ultima volta. Sono corso a comprarne un paio, lunghe, nere, da uomo. Si da il caso, che l’etichetta dell’unico paio che mi era sembrato solido e dignitoso, recitava “calze supersoniche!” e sullo sfondo c’era la fotografia di un caccia bombardiere che sfrecciava tra le nuvole. A quel punto le ho comprate a colpo sicuro, non potendo fare a meno di sorridere dentro di me per come la sua morte fosse riuscita a scardinare totalmente il senso di quello slogan tanto fuori luogo, roboante e machista. E ho immaginato che, forse, le mancava solamente quel paio di calze, “le calze supersoniche”, per volarsene finalmente in cielo, a velocità stratosferiche.
E immagino anche che in questo momento sia già atterrata felicemente, abbia inforcato di nuovo gli occhiali e stia facendo le sue parole crociate. Ma, nell’immancabile fotografia al centro del cruciverba che occupa la prima pagina, non ci sono più divi e starlette varie, ci siamo noi, le persone che le hanno voluto bene. O almeno mi piace pensare che questo sarebbe un bel modo di starle ancora vicini.
giovedì 12 novembre 2009
eucalipto
Comincerò dalla fine senza per forza tornare all'inizio. La fine era la fine di un film che, prima a fuori orario in diretta, poi da un vhs registrato e poi ancora da un dvd comprato su una bancarella parigina, avevo già visto almeno tre o quattro volte, una fine, in altre parole, conosciuta.
Una fine ironica quanto volete quella di Pierrot/Ferdinand/Belmondo che si suicida nel finale, una fine in technicolor, ma pur sempre una fine tragica. Tragica nonostante le voci fuori campo dei due protagonisti, sussurranti sopra un mare luccicante, lascino intendere che nella morte i due amanti hanno finalmente trovato la loro personale "eternità".
Ironica, certo, come ho detto, ma anche una fine di fronte alla quale chiunque ami almeno un po' questo film non può certo mettersi a ridere o accettare che qualcuno, chicchessia in sala, ne rida o, peggio, ne ridacchi.
Eppure questo oggi è avvenuto e il finale perciò, che credevo conosciuto, ne è uscito stravolto. Non tanto per le risata in sé, quando per ciò che ha provocato. Quella risata infatti è riuscita a stizzire il grande vecchio che mi sedeva di fronte, un omone barbuto, con gli occhietti azzurri, vispi e malignamente intelligenti, una specie di Babbo Natale incattivito dagli anni. Il vecchio, con un vocione tenorile che si era già fatto sentire varie volte nel buio della sala, commenta senza troppi giri di parole «che cazzo ti ridi?»
A questo punto devo deludere l'eventuale malcapitato che mi stesse leggendo. Niente risse, niente paroloni che volano o borsettate sulla faccia scagliate dalle rispettive signore. Eravamo in un cinema d'essai, tra gente da cinema d'essai e, pertanto, il semplice far finta di niente dell'autore della risata e bastato per chiudere lì l'accaduto.
Ma nel mio piccolo mondo malato quel vecchio è diventato il mio eroe, uno Zorro incanutito e incontinente, al quale per lasciarti la sua "Z" tatuata in fronte gli basta tirarti un'occhiata storta.
Quel vecchio, lo stesso vecchio, parecchie scene prima, quando nel film Marianne/Karina suggerisce al suo amato/odiato Pierrot di inserire nella sua poesia sulla vita il verso «è come l'odore dell'eucalipto», quel vecchio, dicevo, aveva informato la moglie che gli sedeva accanto (palesemente imbarazzata per quel suo dire non proprio a fil di voce) che la parola "eucalipto" contiene in sé addirittura tutte e cinque le nostre belle vocali AEIOU.
Sono così per me gli eroi. Persone che come Pierrot/Ferdinand/Belmondo si ostinano a tenere la mente sempre viva, così viva da arrivare a sfiorare spesso il limite sublime dell'animalità più autentica, di quando non si vuole e non si cerca null'altro se non, semplicemente, "esistere". Sono persone sole che parlano troppo e per le quali "amare" corrisponde a "raccontare", perché quando amano sanno vedere in tutto, ovunque e dovunque una storia nascosta dentro il semplice movimento delle cose. Sono degli scorbutici Godard innamorati della loro Anna Karina, è gente a cui neppure serve dire «azione» che stanno già facendo CINEMA.
mercoledì 11 novembre 2009
I battiti mancanti al polso del Belpaese
Ieri mattina a UNO MATTINA, l'Italia, me compreso, ha potuto assistere, per l'ennesima volta nel corso di queste ultime settimane, a un servizio che consisteva in una serie di interviste al cosiddetto "uomo della strada" al quale si chiedeva un'opinione, o per meglio dire un commento a caldo, un'impressione su questa fantomatica influenza H1N1.
Agli intervistatori, in particolare, interessava capire cosa ne sapesse la gente e come ognuno di loro avesse scelto di gestire questo del tutto ipotetico allarme infettivo. Io, invece, una volta che la linea è tornata in studio, avrei tanto voluto capire come abbia fatto il condutture della trasmissione a dire che quel campione di persone poteva risultare rappresentativo della maggioranza degli italiani. Per un tema come questo è evidente che il fatto di essere "italiani" dovrebbe passare totalmente in secondo piano. Questo tema infatti, come tanti altri del resto, è un tema che investe tutti, italiani e stranieri. E allora perché, seppure, stando agli ultimi dati Caritas, gli immigrati residenti in Italia sarebbero, calcolati per difetto, 4 milioni e 600 mila, neppure una delle persone intervistate rientrava in questa categoria?
Per quale motivo non ci interessa la loro opinione su un tema come questo, dove è evidente che hanno tutte le carte in regola per dire la loro, per farci sapere come intendono affrontare il problema dentro gli inevitabili condizionamenti delle loro culture particolari e delle loro altrettanto diverse sensibilità?
Mi è capitato di vivere per quasi un anno a Roma, a due passi da Ponte Milvio e dal suo storico mercato (tanto più storico oggi che è stato spazzato via da un centro commerciale coperto, vedi foto). La zona è relativamente vicina al quartiere Prati e dunque alla sede della Rai di Viale Mazzini. In seguito, spessissimo, mi è capitato di riconoscere quello sfondo familiare dietro i volti degli "uomini della strada" che erano stati interpellati dai registi di servizi sullo stile di quello che sto analizzando. Per chi non avesse mai fatto due passi tra le bancarelle del mercato i Ponte Milvio e si limitasse ad analizzarne la composizione sociale sulla base di quegli stessi servizi di telegiornale, questa risulterebbe essere, con buona probabilità, composta da razza ariana purissima al 100 per cento. Eppure, non credo facciate troppa fatica a credermi, anche quel mercato a due passi dai Parioli, dalla Rai e dai lucchetti dell'amore, pullula, come la maggior parte dei mercati del nostro Belpaese, di corpi, di volti, di voci, di espressioni che nulla hanno di ariano e tanto meno di italico. Individui perfettamente integrati e interagenti con il resto della comunità, individui che leggono gli stessi giornali e guardano la stessa televisione di tutti gli altri. Individui che, tuttavia, non sembravano esistere più quando quei giornali, quella televisione, sentono il bisogno di tastare il polso del paese. Un polso che, preso con questi metodi, temo continuerà ad arrivarci come un'eco distorta e tutto puntellato di battiti mancanti.
mercoledì 23 settembre 2009
la lacuna del mio desiderio
...l'oggetto perduto è in fin fine il soggetto stesso, soggetto come oggetto - il che significa che la domanda del desiderio, il suo enigma originario, non è "Cosa voglio?", ma "Cosa vogliono gli altri da me?" Che oggetto - objet 'a' - vedono in me?
Che è il motivo per cui, riferendosi alla domanda isterica "perché io sono quel nome?" (cioè qual è l'origine della mia identità simbolica, cosa la giustifica), Lacan afferma che il soggetto come tale è isterico: egli definisce tautologicamente il soggetto come "quello che non è un oggetto", dal momento che l'impossibilità di identificare se stessi come oggetto (cioè di sapere cosa sono libidinalmente per gli altri) è costitutiva del soggetto. In questo consiste la dimensione terrorizzante della difficoltà della scelta - ciò che risuona anche nella domanda più innocente quando prenotiamo una stanza d'hotel ("Cuscini soffici o duri? Letto matrimoniale o due singoli?") è la ben più radicale investigazione: "Dimmi chi sei. Che tipo di oggetto vuoi essere? Cosa colmerebbe la lacuna del tuo desiderio?"
Tratto dalla lectio magistralis di Slavoj Žižek a Pordenonelegge'09
Chi vuole intendere intenda. E ho detto tutto.
mercoledì 8 luglio 2009
corpi celesti
il super insetto e la paura della vita
Sarà una stronzata, ma mi è bastato pensarlo per farmi risultare quel mostro, non dico simpatico, ma assolutamente accettabile e inoffensivo. Certo, da morto lo sarebbe stato molto di più, ma il solo pensiero di preferire qualcosa di morto a qualcosa di vivo mi dava il voltastomaco.
P.S.1: qualche minuto più tardi è riemerso dalle tenebre ed è sembrato abituarsi alla mia presenza. Per non farlo agitare ho pensato che anche lui ragionasse come noi e così mi sono mosso il meno possibile per non spaventarlo. Sono stato talmente fermo che un ragnetto mi ha usato come sponda per la sua ragnatela. Ci siamo guardati un intero film insieme. Forse anche lui, contemporaneamente a me, ha prodotto la mia stessa riflessione. Il problema è che adesso siamo bloccati dentro una terribile empasse: se uno di noi due si muove e l'altro si spaventa?
Decido di fare il primo passo e mi muovo io. La ragnatela si stacca e me ne dolgo, del resto prima o poi sarebbe successo. Lui invece non si schioda, resta fermo dov'è, muove soltanto un po' le antenne, come per farmi capire che ha capito. Il sottoscritto, invece, è costretto ad ammettere che se il mio nuovo amico, adesso, facesse uno dei suoi famosi scatti, un po' di tensione ancora me la metterebbe. Ma la mia specie, si sa, è parecchio lenta di comprendonio.
P.S.2: Il ragnetto, nel frattempo, ha ripreso il suo prezioso lavoro poco più in là e ci osserva, con sguardo severo. Sembrerebbe dire: "ma questi due qui non hanno proprio niente di meglio da fare?!"