mercoledì 11 novembre 2009

I battiti mancanti al polso del Belpaese


Ieri mattina a UNO MATTINA, l'Italia, me compreso, ha potuto assistere, per l'ennesima volta nel corso di queste ultime settimane, a un servizio che consisteva in una serie di interviste al cosiddetto "uomo della strada" al quale si chiedeva un'opinione, o per meglio dire un commento a caldo, un'impressione su questa fantomatica influenza H1N1.
Agli intervistatori, in particolare, interessava capire cosa ne sapesse la gente e come ognuno di loro avesse scelto di gestire questo del tutto ipotetico allarme infettivo. Io, invece, una volta che la linea è tornata in studio, avrei tanto voluto capire come abbia fatto il condutture della trasmissione a dire che quel campione di persone poteva risultare rappresentativo della maggioranza degli italiani. Per un tema come questo è evidente che il fatto di essere "italiani" dovrebbe passare totalmente in secondo piano. Questo tema infatti, come tanti altri del resto, è un tema che investe tutti, italiani e stranieri. E allora perché, seppure, stando agli ultimi dati Caritas, gli immigrati residenti in Italia sarebbero, calcolati per difetto, 4 milioni e 600 mila, neppure una delle persone intervistate rientrava in questa categoria?
Per quale motivo non ci interessa la loro opinione su un tema come questo, dove è evidente che hanno tutte le carte in regola per dire la loro, per farci sapere come intendono affrontare il problema dentro gli inevitabili condizionamenti delle loro culture particolari e delle loro altrettanto diverse sensibilità?
Mi è capitato di vivere per quasi un anno a Roma, a due passi da Ponte Milvio e dal suo storico mercato (tanto più storico oggi che è stato spazzato via da un centro commerciale coperto, vedi foto). La zona è relativamente vicina al quartiere Prati e dunque alla sede della Rai di Viale Mazzini. In seguito, spessissimo, mi è capitato di riconoscere quello sfondo familiare dietro i volti degli "uomini della strada" che erano stati interpellati dai registi di servizi sullo stile di quello che sto analizzando. Per chi non avesse mai fatto due passi tra le bancarelle del mercato i Ponte Milvio e si limitasse ad analizzarne la composizione sociale sulla base di quegli stessi servizi di telegiornale, questa risulterebbe essere, con buona probabilità, composta da razza ariana purissima al 100 per cento. Eppure, non credo facciate troppa fatica a credermi, anche quel mercato a due passi dai Parioli, dalla Rai e dai lucchetti dell'amore, pullula, come la maggior parte dei mercati del nostro Belpaese, di corpi, di volti, di voci, di espressioni che nulla hanno di ariano e tanto meno di italico. Individui perfettamente integrati e interagenti con il resto della comunità, individui che leggono gli stessi giornali e guardano la stessa televisione di tutti gli altri. Individui che, tuttavia, non sembravano esistere più quando quei giornali, quella televisione, sentono il bisogno di tastare il polso del paese. Un polso che, preso con questi metodi, temo continuerà ad arrivarci come un'eco distorta e tutto puntellato di battiti mancanti.

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