lunedì 2 marzo 2009

La siciliana ribelle

Questa sera, rientrando dal cinema, noto che già sulla statale, senza doversi inoltrare troppo in periferia, soprattutto in curva e all'altezza degli incroci, l'asfalto è ricoperto da strisce di rametti e di foglie che scrocchiano sotto gli pneumatici.
Allora penso che, in effetti, già da qualche giorno è iniziata la stagione della potatura. Un gesto tra i più potenti e simbolici, forse, tra tutti quelli che ancora ci legano ai ritmi della terra. Si recide qualcosa, si sacrificano delle parti per garantire o per migliorare la vita della pianta nel suo complesso.
E allora non posso fare a meno di pensare, a pochi minuti dalla visione di un film come La siciliana ribelle, che forse una metafora possibile da utilizzare per cercare di comprendere, almeno in parte, la storia della lotta alla mafia in Italia. Una storia con una parabola che ci appare in troppi tratti assurda e paradossale; quanto meno perché a fronte di uno stuolo di vittime, di martiri, di vite sacrificate, la mafia esiste ancora e prolifica sempre di più, svelandosi, per altro, sempre più inserita dentro le trame stesse dello stato che in teoria dovrebbe rappresentarne la perfetta controparte. Certo, voglio dire quello che immaginate, cioè che i collaboratori di giustizia (come Rita Atria di cui il film ricostruisce la vicenda di vita) e con loro tutti i magistrati fatti saltare in aria (o abilmente trasferiti), in fondo, sono come gli scarti di una potatura; sono parti che era necessario sacrificare perché la giustizia, nel suo complesso, e lo nazione in quanto corpo civile potessero continuare a crescere più forti.
Sì, è senz'altro così per quanto sia duro e terribile ammetterlo, ma se facciamo lo sforzo di estenderla in modo radicale, mi sembra che questa metafora riesca a metterci di fronte a una realtà ancora più inquietante. Ovvero, che lo stato da una parte e la mafia dall'altra sono entrambi dei giardinieri, formalmente lavorano per padroni diversi ma, in fondo, fanno lo stesso lavoro. Sotto le cesoie della macchina della giustizia, ogni tanto, cadano alcune teste dell'"organizzazione" ma, a occhio e croce, quasi sempre sembra che questo permetta al "corpo" mafioso di riorganizzarsi al meglio e di rinverdire gli organici. Quando, invece, a cadere sotto i colpi dell'altro giardiniere sono le istituzioni, colpite a tutti i livelli, sembra che, di conseguenza, a tutti i livelli della società, nasca spontaneo un desiderio di ribellarsi a tanta meschinità, un desiderio che (come nel film) è animato da sete di vendetta più che da sete di giustizia; un desiderio che ha sepolto o ridotto alla pazzia centinaia di martiri laici.
Adesso vado a letto, sperando che almeno in sogno mi si presenti una via d'uscita a tutto questo. Ma so già che domani mattina mi risveglierò nella stessa Italia di oggi e dovrò, comunque, vivere e lavorare cercando di fare quel che posso per garantire un futuro diverso a questo paese, che mi ostino a sentire troppo mio per abbandonarlo prima di esserne reciso.

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